Cambia la legge fallimentare in Italia. E le dirette interessate da questa rivoluzione normativa sono soprattutto le piccole e medie imprese. Ecco quello che c'è da sapere sulla riforma e quali azioni si possono mettere in campo per non farci cogliere impreparati.
Cos'è la riforma fallimentare
Il cuore della riforma fallimentare è il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 febbraio 2019) che avrebbe dovuto essere pienamente operativo a partire dal 20 agosto di quest’anno, ma che ha subito, su alcune disposizioni, uno slittamento di sei mesi, a febbraio 2021. In ogni caso il Dlgs 14/2019 ha già apportato alcuni cambiamenti al nostro Codice Civile (30 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).
Quali sono le principali novità
Le parole chiave della riforma sono: Procedure di allerta e nuovo assetto organizzativo. Ma, nello specifico, altre novità sono rappresentate dalla creazione dell’Organismo di Composizione della Crisi (Ocri) e dalla definizione di nuovi indicatori di crisi. È importante sottolineare che, con la riforma fallimentare, non soltanto si vogliono mettere le imprese nelle condizioni di individuare una “crisi” fin dalle prime avvisaglie, ma si opera anche un cambiamento dei termini utilizzati in questo ambito. Il nuovo Testo, infatti, elimina le parole “fallimento” e “fallito”, sostituite da “liquidazione giudiziale” e “debitore”.
Crisi, Insolvenza, Sovraindebitamento. Che differenza c'è?
Il Codice della crisi di impresa chiarisce subito (art. 2) la differenza tra stato di crisi, stato di insolvenza e sovraindebitamento.
Lo stato di crisi è uno «stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza del debitore». Mentre l’insolvenza è «lo stato del debitore che non è più in grado di adempiere regolarmente, tempestivamente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni, e che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori». Emerge chiaramente come la difficoltà economica iniziale diventi, nel secondo caso, crisi conclamata.
Il sovraindebitamento, invece, riguarda una serie di soggetti precisi. L’articolo 2 del Codice della crisi, infatti specifica che si tratta dello stato di crisi o di insolvenza «del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle startup innovative» e, in generale, di qualsiasi debitore «non assoggettabile alla liquidazione giudiziale» o a qualsiasi procedura concorsuale «previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza».
Una volta chiarite queste differenze, possiamo approfondire il tema della procedura di allerta che, come anticipato, è una delle novità più importanti introdotte dal Dlgs 14/2019.
A chi è rivolta la procedura di allerta?
I destinatari della procedura di allerta sono gli imprenditori individuali, gli imprenditori collettivi, le imprese agricole, le imprese minori (specificate in termini di liquidità e debito), le imprese soggette a liquidazione amministrativa. Mentre non rientrano nell’ambito di questa procedura le grandi imprese, i gruppi di imprese di grandi dimensioni e le società quotate, oltre a una serie di soggetti come le banche o le società finanziarie.
Le imprese coinvolte, nel caso in cui raggiungano una determinata dimensione (oltre i quattro milioni di euro di attivo, quattro milioni di ricavi, e una media di 20 dipendenti negli ultimi due anni) devono istituire un «assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa» (articolo 2086 del codice civile riformato dal Dlgs 14/2019). Perciò, se non è presente un collegio sindacale, l’impresa deve nominare un revisore.
Quando si attiva la procedura di allerta?
In precedenza abbiamo chiarito le differenze tra stato di crisi, insolvenza e sovraindebitamento. Ecco, l’allerta entra in gioco non appena si verifica lo stato di crisi, ossia quello “squilibrio economico e finanziario” che porta l’imprenditore, collettivo o individuale, ad attivarsi tramite «gli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi».
Chi attiva la procedura di allerta?
Il Codice della crisi, agli articoli 14 e 15, individua i soggetti in grado di attivare l’allerta: ossia quelli che possono individuare le prime avvisaglie di una crisi nell’ambito della loro normale attività.
Quindi sono tenuti ad attivare la procedura di allerta: gli organi di controllo dell’impresa, il collegio sindacale e il sindaco unico (se presenti) nell’esercizio delle loro attività di controllo dell’impresa.
La crisi può emergere anche come risultato dell’adempimento degli obblighi organizzativi richiesti, dunque un altro elemento di attivazione è legato al revisore.
Altri soggetti che, nell’ambito delle loro funzioni, sono in grado di individuare i segnali di crisi sono l’Agenzia delle Entrate, l’Inps o l’agente della riscossione, ossia i creditori pubblici qualificati.
Cos'è L'OCRI e come funziona
Il nuovo Codice della crisi di impresa ha definito la creazione di un organismo stragiudiziale istituito presso ciascuna Camera di Commercio con il compito di ricevere le segnalazioni di crisi: l’Ocri.
L’Ocri, una volta ricevute le segnalazioni, ha il compito di gestire le procedure di allerta (art. 16) e assistere l’imprenditore nel procedimento di composizione assistita della crisi.
La funzione dell’Ocri è fondamentale perché la situazione di crisi rientri in tempi brevi. La procedura di allerta, infatti, ha una durata che varia tra i 90 e i 180 giorni. È questo il tempo limite perché l’impresa, assistita dall’Ocri, arrivi a una soluzione dello squilibrio finanziario. Oltre i sei mesi, dunque, si dovrà procedere con la liquidazione.