Figura 1 – L’economia dei vaccini (esempio Germania)
Figura 1 – L’economia dei vaccini (esempio Germania)
La Commissione europea ha recentemente indicato l’obiettivo di vaccinare il 70% della popolazione adulta entro l'estate del 2021. Tuttavia per raggiungerlo sarebbe necessario un ritmo di somministrazione pari a circa sei volte quello che si osserva attualmente (Figura 2). Al contrario, i nostri calcoli mostrano che i Paesi dell'UE sono già in ritardo di cinque settimane e poiché ogni settimana di prolungamento delle restrizioni sanitarie riduce di -0,4 punti percentuali la crescita trimestrale del PIL nominale dell'UE, l'attuale ritardo equivale a -2,0 punti percentuali o circa 90 miliardi di euro (vedi Figura 3). Questo valore supera di quattro volte quello degli accordi che la Commissione europea ha firmato con i produttori di vaccini per i 2,5 miliardi di dosi finora consegnati.
Figura 2 – La corsa all'immunità dalla Covid-19 dei principali Paesi UE
Anche tenendo conto di questo percorso ottimale meno ambizioso, il ritardo delle vaccinazioni ammonta a tre settimane, con un costo di 63 miliardi di euro. Va notato che tali costi continueranno ad aumentare finché il tasso di vaccinazione sarà inferiore al percorso ottimale. Ma al contrario, ciò significa anche che il ritardo può essere ridotto rapidamente se il tasso di vaccinazione sale significativamente rispetto a quello del percorso ottimale. Tale situazione sarebbe concepibile se alla fine del 1° trimestre 2021 sparissero i colli di bottiglia presenti nella produzione, per esempio grazie all'approvazione di un nuovo vaccino (con una sola inoculazione) o allo sviluppo di nuovi siti produttivi. Se in questo modo si raggiungesse un tasso di circa l'1% della popolazione (corrispondente all'incirca all'obiettivo del governo tedesco di 5 milioni di vaccinati a settimana), il ritardo verrebbe effettivamente recuperato all'inizio del 3° trimestre 2021.
Figura 3 - Costo settimanale dei lockdown mirati (miliardi di euro)
Figura 4 - Costo del ritardo rispetto al costo dei vaccini nell'UE (al 31 gennaio 2021, miliardi di euro)
I costi accumulati fino ad oggi a causa del ritardo delle vaccinazioni superano già il totale degli aiuti attesi tramite il Recovery Fund dell'Unione Europea nel 2021. La ricaduta economica di un ritardo nel ritorno alla normalità richiederà un secondo atto del "Whatever it takes". I politici continueranno a giocare il ruolo di protagonisti nel 2021-22. Aspettiamoci un sostegno ancora aggressivo della politica di bilancio (che i governi speravano di ridurre nel 2021 nella maggior parte dei Paesi europei), mentre saranno estese e rafforzate le reti di sicurezza pubbliche per sostenere i redditi delle famiglie e nascondere le cicatrici a lungo termine dell'economia.
Nel frattempo la BCE continuerà sicuramente a sostenere la risposta pubblica dei governi dell'UE. Il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program) ha ancora una capacità inutilizzata di circa 1.000 miliardi di euro, ma nel 2021 potrebbe essere necessaria un'altra iniezione di circa 500 miliardi di euro per assicurarsi dei costi di finanziamento ancora favorevoli. Di conseguenza, il ritardo delle vaccinazioni accentuerà ulteriormente gli effetti della Covid-19 sull'economia rafforzando il predominio pubblico, consolidando ulteriormente il ruolo dello stato negli affari economici e incrementando di nuovo gli oneri del debito e i bilanci delle banche centrali. A causa del ritardo delle vaccinazioni, il previsto stop della ripresa economica potrà addirittura eclissare il “momento hamiltoniano” dell'Europa: il costo del ritardo ad oggi supera già i 50 miliardi di euro di aiuti attesi dal Recovery Fund nel 2021.
La ricaduta economica potrebbe alimentare le forze politiche centrifughe.A causa del lento andamento delle vaccinazioni previsto per la metà del 2021, l'UE dovrà mantenere in vigore le restrizioni per evitare una terza ondata e a sua volta una recessione a tripla V. È probabile che il malcontento politico salga alle stelle una volta che Paesi come Israele, la Gran Bretagna appena uscita dalla UE e/o gli Stati Uniti entreranno in una fase di crescita spinta dai consumi nella seconda metà del 2021. Se l'UE dovesse ritardare il ritorno alla normalità, la fiducia nel progetto europeo potrebbe subire un duro colpo. In particolare, quello che preoccupa è il rischio di un forte aumento dell'incertezza e della polarizzazione politica sia a livello nazionale che europeo:
- Maggiore incertezza politica intorno alle principali elezioni. Fino ad ora i governi in carica in molti Paesi europei hanno visto aumentare la propria popolarità, grazie al gradimento della propria gestione della crisi da Covid-19. Tuttavia, se l'Europa sarà in ritardo nel ritorno alla normalità economica rispetto ad altre economie, la fiducia nei governi nazionali calerà notevolmente. Il risultato sarà una maggiore incertezza politica a livello nazionale ed europeo, dato che alcuni “pesi massimi” dell'economia dovranno affrontare elezioni importanti nei prossimi 18 mesi, come la Germania a settembre 2021 e la Francia ad aprile 2022.
- Il "National first" è tornato di moda mentre i governi si affannano a ricostruire la fiducia in patria. È noto come in passato la risposta dell'UE alle crisi non sia stata tempestiva e di grande portata, con esempi eclatanti quali la grande crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano. Se delegare all’UE la responsabilità degli ordini per i vaccini fosse visto come un grave errore, la fiducia nell'Unione Europea subirebbe un duro colpo. È probabile che i governi nazionali europei si dissocino dalla risposta pasticciata dell'UE alla crisi, rivolgendosi sempre più verso il proprio interno per risolvere i problemi da soli, nel tentativo di ravvivare il sostegno popolare a casa. Dalla scarsa volontà di coordinare la politica economica e/o sanitaria, agli accordi bilaterali sull'acquisto dei vaccini, preoccupa la rinnovata attenzione alle questioni nazionali in un momento in cui l'Europa è tutt'altro che fuori pericolo.
Figura 5 - Gradimento della gestione statale della crisi da Covid-19 (%)
Figura 6 - BCE e "momento hamiltoniano": i mercati dei capitali valutano ancora molto basso il rischio di disgregazione dell'euro*.