Un altro esempio è rappresentato da CBL Properties, un Gruppo proprietario di centri commerciali, che ha fatto ricorso al “Chapter 11” della legge fallimentare statunitense (che consente alle imprese una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario) nel novembre del 2020. Questo step è stato necessario per liberare 1.5 miliardi di Dollari dal suo bilancio a seguito del fallimento di una serie di importanti centri commerciali.
In generale, il settore della distribuzione al dettaglio – per la parte non legata ai beni alimentari – che aveva già subito un rallentamento nello scorso decennio, è stato ulteriormente indebolito dalla pandemia: i settori della moda e dell’abbigliamento, in particolare, sono stati colpiti in modo durissimo.
Alcuni esempi di player del settore della grande distribuzione che sono risultati insolventi durante il lockdown includono Arcadia Group, che controllava un ampio portafoglio di negozi di abbigliamento inglesi tra cui Topshop/Topman, Burton, Dorothy Perkins e Evans. Il fallimento di Arcadia Group ha fatto sì che i grandi magazzini inglesi Debenhams e Edinburgh Wollen Mill passassero da un regime di amministrazione ad uno di liquidazione. Queste insolvenze hanno senza dubbio creato spaccature all’interno delle rispettive supply chain.
È importante tenere a mente che le moratorie sulle procedure di insolvenza, votate nel primo trimestre del 2021 in numerosi Paesi tra cui Germania, Francia, Regno Unito, Giappone, India, Singapore e Australia, hanno fatto sì che aziende in grosse difficoltà economiche – le cosiddette “aziende zombie” – possano continuare ad operare sebbene tecnicamente insolventi. Anche se questi meccanismi assistenzialistici sono giustificabili nel breve termine, maggiore è il tempo che si lascia passare prima di lascar fluire il naturale processo delle insolvenze, maggiore sarà lo snaturamento delle dinamiche di concorrenza e, di conseguenza, maggiori i danni che subirà l’economia nel medio termine.