La forza del digitale, che con la pandemia ha registrato un incremento esponenziale, e la sempre più stringente necessità di investire nella sostenibilità, sociale e di governance, impone oggi di ripensare anche la responsabilità aziendale in ottica tecnologica. La Corporate Digital Responsability (CDR) diventa così la chiave di volta dei criteri ESG (Environmental, Social e Governance).
Questo acronimo, ESG, racchiude una grande idea: che le società debbano pensare ad un business etico e usare anche fattori non finanziari per influenzare e sfidare i propri impatti ambientali (E); come l’uso di energia e materiali per limitare al massimo il loro footprint sul pianeta; gli impatti sociali (S); che includono la salute, la sicurezza e la diversità della forza lavoro e in generale i diritti umani e gli effetti delle imprese sulle comunità; e gli attributi di governance (G), come la parte etica, i diritti degli azionisti e le politiche esecutive di compensazione.
Trasparenza, equità, onestà, correttezza, integrità, rispetto, fiducia, miglioramento continuo, innovazione, creatività, soddisfazione del cliente, crescita dei collaboratori, precisione e puntualità sono alcuni esempi di valori aziendali, secondo una gestione etica d’impresa e un’ottica sostenibile.
Gli investimenti ESG hanno come obiettivo l’ottenimento di profitti, ma tenendo ben conto dell’importanza degli elementi di natura ambientale e sociale. Un concetto questo che non è mai stato così evidente come in questi anni difficili, che stanno colpendo persone e aziende - dai piccoli produttori fino alle grandi imprese - in tutto il mondo.
Stiamo assistendo ad una profonda trasformazione economica, che vede le aziende non più concentrate solo sul profitto ma sul business etico, in cui CDR e ESG sono e saranno i due paradigmi fortemente interconnessi che rappresenteranno in futuro, ma lo fanno già oggi, i nuovi generatori di valore. Un valore che non è più solo strettamente economico/produttivo, ma è volto ad uno sviluppo sostenibile ed è garanzia di competitività.
Le imprese e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
La decisione delle aziende di includere nel proprio business anche la dimensione sociale e ambientale, oltre a quella economica - in breve la “sostenibilità d’impresa” - è un preciso richiamo al concetto di sviluppo sostenibile come richiesto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dai correlati Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS o SDGs, in inglese). In questi obiettivi ci sono tutte le priorità di livello internazionale in materia di responsabilità aziendale: salvaguardia dell’ambiente, lotta alla povertà e alla fame, sradicamento delle disuguaglianze. Un riferimento così forte alle sfide globali è importante non solo per aziende di grandi dimensioni e con una forte presenza internazionale, ma anche per quelle più piccole, che operano prevalentemente nel contesto nazionale o locale. Perché ogni impresa, indipendentemente dalle dimensioni e dagli ambiti di attività, è inserita all’interno di un sistema sempre più globalizzato e le risorse che utilizza, in particolare quelle naturali, appartengono ad un unico pianeta, che tutti dobbiamo impegnarci a salvaguardare. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, pur generando da più fronti delle aspettative di azione immediata, spingono le aziende a ragionare in una prospettiva di lungo periodo, sostenendo un vero e proprio cambiamento culturale nel mondo imprenditoriale. Per condurre il proprio business in modo sostenibile, l’impresa deve trovare soluzioni innovative che le permettano di comprendere e dare risposta alla complessità del contesto in cui opera. Solo in questo modo potrà muoversi lungo una direttrice che coniuga crescita economica, sviluppo sociale e salvaguardia del patrimonio naturale. Per riuscirci, però, è fondamentale che adotti un approccio sistemico, inclusivo e trasparente e che sviluppi un forte orientamento all’innovazione.
Investire nella sostenibilità e nella tecnologia
L’Italia è ancora in ritardo in termini di digitalizzazione e innovazione tecnologica come mostra l’ultimo aggiornamento dell’indice DESI (Digital Economy and Society Index) che vede il nostro Paese al 24° posto fra i 27 Stati membri dell’Unione Europea.
Che innovazione digitale e sviluppo sostenibile siano strettamente connessi lo conferma l’obiettivo 9 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che sottolinea come l’innovazione diventi lo strumento essenziale per il perseguimento di tanti altri obiettivi di sostenibilità quali il consumo e la produzione responsabile, la lotta contro il cambiamento climatico, la riduzione delle diseguaglianze, il lavoro dignitoso e la crescita economica, un’energia pulita e accessibile. Questo deve essere lo scopo di tutte le aziende che intendono accostare al proprio rendimento economico un virtuoso impatto sociale, ambientale e di governance.
La trasformazione digitale ha ovviamente luci e ombre.
Le nuove tecnologie infatti possono migliorare così come impedire l’efficienza energetica e l’impatto ambientale, così come possono portare all’inclusione di molti gruppi sociali svantaggiati, ma anche emarginare cittadini anziani o residenti in zone a scarsa digitalizzazione. A questo si aggiungono i temi etici legati agli effetti sull’occupazione dell’automazione e della robotica. Ma dall’altra parte la digitalizzazione può, invece, diventare una nuova modalità di lavoro (come lo smart working) e di formazione, un nuovo sistema di condivisione di dati, di conoscenze, di informazioni ai fini di un migliore sviluppo economico dell’azienda. Una strategia integrata CDR/ESG deve mirare non solo a prevenire le potenziali conseguenze negative della digitalizzazione, ma anche e soprattutto a sfruttarne i vantaggi. L’adeguamento ad una sostenibilità d’impresa in ottica CDR/ESG richiede chiaramente un percorso graduale, in grado di determinare un cambio di passo e di visione dell’azienda che deve individuare obiettivi di sostenibilità che siano realmente raggiungibili e compatibili con la propria realtà aziendale.
I fattori ESG in chiave digitale
Ogni azienda può valutare quali fattori del paradigma ESG in chiave digitale possono essere integrati nella propria policy di Corporal Digital Responsibility. Per esempio l’attenzione per l’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, che si concretizza nell’uso di energia rinnovabile e nella misurazione dell’emissione di gas serra, riguarda l’intero ciclo di vita dell’hardware, dalla produzione fino allo smaltimento e al riciclaggio di dispositivi e infrastrutture IT. L’impatto sociale rappresentato dal fattore Social, invece può comprendere lo smart working, ma anche il digital welbeing, che testimonia lo stato di buona salute psicofisica derivante da un uso responsabile ed equilibrato con le tecnologie. Infine l’aspetto della Governance è incentrato sulla gestione dei sistemi IT in chiave anche di cybersecurity, accesso dei dati e della privacy. In ogni caso i fattori ESG in chiave digitale arricchiscono e non sostituiscono i fattori ambientale, sociale e di governance che sono lo scheletro di una azienda sostenibile.
Le imprese sostenibili in Italia
In cinque anni (2015-2019), le imprese italiane dell’industria e dei servizi che hanno investito nell’economia verde e in progetti di sostenibilità ambientale sono incrementate, passando da 345mila, del quinquennio precedente, ad oltre 432mila.
Nel manifatturiero sono più di una su tre (35,8%). Il 2019 ha fatto registrare un picco con quasi 300mila aziende che hanno investito in modo diretto sulla sostenibilità e l’efficienza. La regione che si è attestata il primato è la Lombardia: quasi 78mila imprese hanno impiegato risorse in prodotti e tecnologie green. In particolare l’Italia è il primo Paese europeo per numero di aziende agricole impegnate nel biologico: oltre 80mila sono gli operatori coinvolti. Sono questi i numeri riportati dal rapporto Greenitaly 2020 presentato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere. Dallo studio emerge che le aziende del nostro Paese, nonostante il periodo di crisi dovuto alla pandemia, intendono investire nei prossimi tre anni sulla sostenibilità. Questa spinta arriva soprattutto dai giovani imprenditori: tra le imprese guidate da under 35, il 47% ha fatto eco-investimenti, contro il 23 delle over 35. Inoltre, le imprese “verdi” nel corso del 2020 hanno subito delle perdite inferiori rispetto alle altre. Sono anche le più ottimiste rispetto al futuro: sono convinte di recuperare in un biennio i livelli di attività pre-crisi. Sono anche le aziende che innovano di più, investendo maggiormente in R&S e in tecnologie e competenze 4.0. Ciò fa comprendere che, nel futuro, avrà sempre più importanza il business legato al rispetto dell’ambiente e allo sviluppo tecnologico. Il vantaggio competitivo delle imprese eco-investitrici si conferma in termini occupazionali (assume il 9% delle green contro 7% delle altre) e di export (aumenta per il 16% contro il 12%). Questo anche perché le aziende eco-investitrici innovano di più (73% contro 46%). Le previsioni per il 2020-2024 dicono che il 38% del fabbisogno delle professioni richiederà competenze green.he investe.